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martedì 11 febbraio 2014

Pier Franco Devias risponde al Coordinamento Sardo Non Bruciamoci il futuro

Pubblichiamo la risposta del candidato presidente del Fronte Indipendentista Unidu alla lettera aperta del Coordinamento Sardo Non Bruciamoci il futuro

 

Leggere il vostro documento è confortante. Il Popolo Sardo è come un grande insieme di affluenti che si stanno orientando verso un unico sbocco possibile: quello della difesa della nostra terra dalla speculazione coloniale. Quando abbiamo lanciato il progetto del Fronte abbiamo affrontato in decine di assemblee democratiche e partecipatissime gli stessi temi che voi ponete alla nostra attenzione. È un errore della stampa bollare chi difende la propria terra solo come "ambientalista". È evidente nel vostro documento che non parlate solo di ambiente, i vostri temi toccano la necessità di un piano di sovranità e di democrazia energetica, la possibilità di creare lavoro dal riciclo dei rifiuti, la necessità di sventare le truffe di Stato legate ai "certificati verdi", di restituire alla terra la sua vocazione agricola impedendone la svendita alle grandi multinazionali dell’energia. Parlate insomma della necessità e dell’urgenza di ripristinare un rapporto ecologico fra la civiltà dei Sardi e la loro terra messo a rischio dall’arroganza del potere economico di multinazionali e di istituzioni compiacenti e spesso corrotte.

Non è un caso che abbiamo scelto come slogan per la nostra campagna elettorale che riassume tutti questi nodi: "Difèndeti Sardigna". Il nostro programma è un manuale di autodifesa nei confronti del saccheggio delle nostre risorse naturali e del nostro ambiente e vorrei soffermarmi su alcuni punti.

Partiamo dall’energia che rappresenta il punto di annodamento di diverse criticità di cui soffre la nostra terra. I media ripetono all’unisono che i Sardi hanno fame di energia. Chiediamoci se è vero e chiediamoci soprattutto di quale energia hanno fame i Sardi. Già nel corso della campagna in sostegno al referendum contro il nucleare abbiamo dimostrato ampiamente che la Sardigna produce più del suo fabbisogno energetico. Quindi chi ha bisogno di energia? Non certo i Sardi e non certo le attività produttive del nostro territorio. Ne ha certamente bisogno l’Italia che importa energia attraversa il cavo Sapei (di proprietà della Terna), una sorta di cordone ombelicale al contrario che succhia la nostra energie a tutto vantaggio delle industrie del nord. L’Italia si serve inoltre della produzione energetica "verde" (da fondi rinnovabili) per soddisfare i parametri di Kyoto. Riguardo alla seconda questione sarebbe più utile chiedersi "di quale energia hanno bisogno i Sardi?". Partecipando alle lotte delle comunità in difesa del loro territorio e ai movimenti sociali come quello dei pastori sardi ci siamo resi conto da molto tempo che la reale questione da porre è la "democrazia energetica". Dobbiamo avere il coraggio di mettere in discussione l’autoritarismo energetico, cioè quel sistema che vede la concentrazione della produzione energetica in poche mani. Con il voto praticamente unanime dei Sardi abbiamo fermato il modello nucleare che sarebbe stata la massima realizzazione di questo autoritarismo energetico, ma siamo solo a metà dell’opera. Ora bisogna sradicare le radici della malapianta. Partiremo dall’autoproduzione energetica in agricoltura, prendendo così due piccioni con una fava: rilancio di un settore strategico in crisi e democrazia energetica. Per rilanciare l’allevamento e l’agricoltura sarà utilissimo, fin dal primo giorno in cui ci insedieremo al governo regionale, varare politiche di autoproduzione energetica nelle piccole e medie aziende agricole al fine di abbattere i costi di produzione che oggi, insieme alla pressione fiscale e al prezzo del latte, strozzano la nostra economia. È un investimento di alcune decine di milioni di euro, sicuramente molto meno dei finanziamenti destinati alla realizzazione del Galsi alla quale noi ci opponiamo strenuamente. Ogni azienda avrà la possibilità di diventare produttrice della sua energia, utilizzando fonti energetiche rinnovabili di nuova generazione pagate in conto energia.

Parallelamente dovremo sbarrare la strada al saccheggio dei nostri terreni agricoli. Possiamo ancora permettere che la nostra terra sia suddivisa tra le multinazionali dell’energia, tappezzata di parchi fotovoltaici e termodinamici, trafitta da centinaia di gigantesche pale eoliche che nessuno poi smaltirà e crivellata alla ricerca del gas? A chi giova? Negli anni Settanta il colonialismo italiano, servendosi dei media, dei partiti politici e dei sindacati ci ha convinto che necessitavamo di una grande industria di base per accedere alla modernità e che bisognava abbandonare le campagne, l’artigianato e la piccola e media industria legata al territorio. Oggi, con gli stessi ragionamenti, gli stessi soggetti del disastro di quegli anni ci convincono della fame di energia. Siamo alle solite: bisogni indotti e saccheggio del nostro territorio. La nostra prima mossa sarà dunque quella dell’autodifesa contro la speculazione. Le Regione deve dotarsi del diritto di veto sull’utilizzo di tecnologie obsolete, sia per la riconversione di siti esistenti che ex-novo. Dopo aver varato la moratoria e aver avviato un piano ampio e coraggioso sulla democrazia energetica vareremo immediatamente una legge regionale per il divieto di ampliamento e nuova costruzione di inceneritori su tutto il territorio sardo, in linea con le indicazioni europee per lo smantellamento di quelli preesistenti e per il superamento della logica dell’incenerimento dei rifiuti che possono essere riciclati o compostati. Di pari passo sarà varata anche una legge regionale per il divieto di costruzione di impianti per l’incenerimento di biomasse.

Energia e smaltimento dei rifiuti vanno di pari passo. La Sardigna sta diventando una pattumiera del nord Italia ricco e produttivo e della mafia del meridione italiano. Purtroppo sappiamo benissimo che ci sono Sardi che speculano su questo. L’abbiamo visto con la giunta Soru quando abbiamo cercato di impedire l’arrivo in Sardigna di diverse navi cariche di mondezza dalla Campania e recentemente abbiamo impedito che Olbia diventasse centro di smistamento del percolato siciliano. Ma è solo la punta dell’iceberg. Si va verso l’ampliamento dell’inceneritore di Tossilo (Macomer) e la costruzione di un inceneritore nel sassarese. Daremo battaglia, perché abbiamo la tecnologia per smaltire i rifiuti in maniera eco-compatibile e riuscire a ricavarne anche profitto sociale, cioè per tutti. Insomma il futuro ci riserva due modelli: da una parte ci sono gli inceneritori, i termovalorizzatori (a volte mascherati da industrie energivore) e le centrali a biomassa sostenuti e avallati dai partiti al potere (in questo caso davvero trasversali, centro destra e centro sinistra con il pieno appoggio dei finti Sardisti e degli indipendentisti posticci). Dall’altra parte c’è un sistema di rifiuti zero sostenuto dai comitati, dalle associazioni e dal Fronte Indipendentista Unidu che propone un Piano regionale per lo smaltimento dei rifiuti mediante una filiera di riciclo a impatto ambientale zero con l’incentivazione della raccolta differenziata e con campagne informative mirate rivolte a tutti i cittadini, in particolare ai giovani in età scolare. Per realizzare ciò e arrivare nel giro di pochi anni ad un riciclo tendente al 100% è necessario sostenere con forza la proposta del Fronte, ovvero che la Regione costituisca un Ente regionale proprietario delle materie prime ricavate dalla raccolta differenziata e che reinvesta i proventi finalizzandoli all’abbattimento delle spese della raccolta differenziata e dunque della stessa bolletta al cittadino. Senza un tale provvedimento sarà impossibile realizzare un sistema a rifiuti zero, perché chi dovrà realizzare il riciclo non avrà interesse a farlo.

Bloccare la corsa al far west dell’energia, stabilire regole chiare per cui gli investitori debbano pagare le tasse in Sardigna, garantire lo smaltimento degli impianti con fideiussioni certe sono azioni indispensabili per affermare la sovranità energetica e ristabilire un regime di vera e compiuta democrazia nel nostro Paese. Ma le moratorie purtroppo non risanano l’ambiente compromesso dall’inquinamento. La Sardigna cartolina è una immagine utile per le agenzie di viaggio, ma assolutamente fuorviante per quello che riguarda la realtà delle cose. Grosse parti della nostra isola vanno bonificate, ma non si riesce a capire chi deve bonificare, come, quando e con quali soldi. Noi facciamo un discorso di buon senso: chi ha stabilito che la Sardigna diventasse terra di conquista dell’industria pesante? Chi ha fatto spallucce davanti al sistematico disastro ambientale? Chi ha omesso il soccorso alle popolazioni colpite dalle malattie causate dall’inquinamento industriale? Lo Stato italiano e le multinazionali a cui lo Stato e le sue articolazioni hanno firmato i protocolli d’intesa come deleghe in bianco. Chi deve pagare quindi? Certamente lo Stato italiano, fino all’ultimo centesimo e con gli interessi! Potrete obiettare che la Regione non ha alcuna forza contrattuale per fare rispettare questo basilare principio di verità e giustizia. È uno sbaglio, perché tutto sta nella volontà politica. La Regione sotto il nostro controllo ricorrerà in tutte le sedi necessarie per imporre allo Stato italiano la bonifica di tutte le aree inquinate, non solo di quelle attualmente classificate come SIN che purtroppo risulta largamente incompleta. Stileremo una mappatura approfondita e sistematica di tutte le aree inquinate garantendo la copertura economica per analisi indipendenti e veritiere. Una volta compilata una mappa dettagliata dell’inquinamento chiederemo i danni allo Stato italiano visto che la Sardigna negli ultimi 150 anni risulta sotto la sua giurisdizione, quindi il primo responsabile è lo Stato italiano. Cosa faremo se lo Stato italiano non coprirà i costi integrali delle bonifiche necessarie a mettere in sicurezza il nostro territorio? Lo attaccheremo in ogni sede internazionale, andremo a Bruxelles con alla mano dossier dettagliati, andremo ovunque per dire al mondo che razza di Paese è l’Italia e come tratta i suoi cittadini di serie B e la sua ultima colonia d’oltremare, la Sardigna, fino a creare un vasta indignazione internazionale nei confronti delle sue politiche. Vedrete che alla fine lo Stato, da buon ragioniere, farà i conti e capirà che in confronto al danno di immagine, con pesanti ricadute economiche che noi gli provocheremo, le risorse destinate alle bonifiche saranno noccioline. Le bonifiche d’altronde devono diventare un’occasione di formazione e di lavoro per i lavoratori sardi espulsi dal mercato del lavoro. Scriveremo un Piano Nazionale delle bonifiche che preveda il diritto di prelazione per le imprese specializzate sarde nelle gare d’appalto. Come detto le bonifiche dovranno essere garantite dallo Stato italiano, il cui finanziamento avverrà attraverso i risarcimenti e le garanzie richieste alle aziende responsabili dell’inquinamento o, alternativamente, tramite il fondo nazionale degli interventi straordinari (Protezione Civile). Il Piano sarà caratterizzato dalla  formazione professionale per gli operai cassintegrati o espulsi dal ciclo produttivo e finalizzata all’acquisizione di competenze specifiche per attuare le bonifiche nel Piano.

Le industrie che vorranno investire in Sardigna saranno obbligate ad includere un’accurata stima dei costi (e relativo accaparramento) per lo smaltimento degli impianti e il ripristino del territorio. Non basta cioè dire "chi inquina paga", bisogna avere anche una garanzia che l’inquinamento non ci sarà e che le bonifiche a fine ciclo produttivo saranno garantite da chi ha avuto interesse ad installare gli impianti. Questo faremo e a dimostrazione del fatto che non si tratta di parole sta la storia e la militanza dei componenti del Fronte Indipendentista Unidu, e i molti che ci conoscono sanno che non scherziamo.

 





 

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